Visitando un Paese straniero avete mai vissuto un’esperienza che caratterizzasse proprio la cultura di quello Stato? L’altro giorno vedendo un autobus affollato a Mestre ho ripensato ai miei mesi in Giappone, quando ogni mattina dovevo prendere un treno molto affollato per andare a scuola.

Ho ricordato il paesino dove ho vissuto per tre mesi, Kyodo (da non confondere con Kyoto!), nell’area a sud ovest dell’area metropolitana di Tokyo. Ogni mattina per andare a scuola a Shibuya dovevo prendere due treni, cambiando mezzo alla stazione di Shimokitazawa.

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Il mio itinerario in treno Kyodo a Shibuya

Ho ricordato la stradina che si dipanava accanto alla ferrovia di Kyodo. L’aria fresca, gli studenti delle superiori in divisa davanti a me un po’ ciondolanti un po’ addormentati, il selciato sotto le scarpe e i distributori di bibite fredde agli angoli delle stradine. Ho ricordato come mi piacesse sentirmi parte di quella massa di persone che ogni mattina doveva prendere il treno verso Shibuya o altre destinazioni, per andare a lavoro o a scuola. Mi piaceva sentirmi parte di una quotidianità condivisa, anche se per pochi mesi. Avevo quella sicurezza un po’ spavalda nell’estrarre l’abbonamento della rete ferroviaria dalla tasca e anche l’ostentazione, nel farla scorrere sul lettore elettronico, come a rimarcare: “Hey, non sono una turista qualsiasi, ho una tessera vera, io!“.

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La stazione di Kyodo

Ho ricordato le file ordinate di persone lungo le spie luminose dei binari, l’attesa per il treno, le voci metalliche e cordiali che rimbombavano nell’aria annunciando l’arrivo dei mezzi, gli studenti in divisa con i cellulari colorati in mano, i visi assonnati degli impiegati vestiti di scuro, e poi noi “stranieri”, fuori contesto.

Ho ricordato la prima volta che ho visto QUEL treno arrivare.

Se non avete mai visto immagini a riguardo, la situazione è simile a questa (Io non ho mai avuto il coraggio di scattare delle foto perchè mi sembrava un po’ maleducato nei confronti di quelle povere persone):

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(c) Tony McNicol

Accanto al treno c’erano gli assistenti (l’omino con i guanti bianchi nella foto) che aiutavano le persone ad entrare dentro il vagone anche se era già affollato al 100% (si chiamano 押し屋 “oshiya”). Le spingevano letteralmente all’interno continuando a chiedere scusa e si prodigavano affinché le giacche o le borse, non rimanessero incastrate al chiudersi delle porte automatiche.

 “Ma come si poteva entrare dentro quei vagoni? Come si poteva viaggiare in quelle condizioni?”, ho pensato questo la prima volta e ho compreso che quella sarebbe stata la mia realtà quotidiana per tre, lunghissimi, mesi.

Ma come si riusciva ad entrare dentro quei treni? Si riesce a sopravvivere? Se volete scoprire le mie originali (?) tecniche per entrare nei vagoni, continuate a leggere nella prossima pagina!