Il mio (disastroso) Giorno dell’Indipendenza a Yellowstone

da Apr 11, 2020Racconti di viaggio, USA0 commenti

Prologo. Il Giorno dell’Indipendenza della mia infanzia

Dove: West Yellowstone, Wyoming, USA

Fino ai 13 anni se sento “Giorno dell’indipendenza”, ho in testa subito l’immagine di uno scienziato schiacciato contro una parete di vetro e un alieno dietro di lui, che parla attraverso la sua voce. Minacciando il Presidente degli Stati Uniti per di più. Se non eravate abbastanza grandi negli anni Novanta, probabilmente non riconoscerete l’altissima (sarcasmo *on*) citazione cinematografica di “Independence day”, gioia e tormento della mia infanzia. Solo crescendo, il Giorno dell’indipendenza assumerà i contorni di fuochi d’artificio, barbecue all’aria aperta, estate, 4 luglio, birre, zanzare, ecc. Non siamo americani eppure tutti conosciamo questa festa (dovrebbe farci riflettere ma non è il momento della riflessione).

Atto I. West Yellowstone

 

Sono in Wyoming e con dei colleghi decidiamo di dirigerci dopo cena a West Yellowstone, la città più vicina al Parco Nazionale di Yellowstone, per vedere gli americani festeggiare questo famoso 4 luglio. C’è molta aspettativa antropologica nell’aria ma non un piano d’azione preciso. Quando arriviamo è già notte e questa cittadina di frontiera mi sembra stranamente sottotono. Parcheggiamo in una via secondaria e iniziamo a girare. Nessuna illuminaria, nessun manifesto. I negozi sono aperti ma ci aspettavamo più gente in giro. Qualcuno ha sistemato delle sedie a sdraio sui tetti dei negozi e beve birra ma è il massimo della trasgressione che vediamo (è vietato infatti bere superalcolici fuori dai locali).

– Ci scusi, dove fanno i fuochi d’artificio?

È la prima domanda che facciamo. Una signora di mezza età ci indica uno stradone e ci informa che in fondo c’è un piazzale. Da lì possiamo avere una visuale perfetta dei fuochi.

– A che ora li faranno?

Non lo sa.

Compriamo d’asporto un cartoccio di gamberetti fritti e ci dirigiamo verso il piazzale. Fa quasi freddo perché siamo a 2000m e non importa che sia il 4 luglio e le mani mi puzzano di olio (di colza, di mais, poliuretano, non voglio neanche saperlo in cosa sia stato fritto il pesce) e il piazzale in realtà è già la periferia di West Yellowstone (più un buco che una cittadina). Ed è pure sterrato: ad ogni pick-up enorme che arriva, si solleva una nuvola di polvere nell’aria. Rimaniamo lì indecisi sul da farsi, attorniati da camper con gente seduta a bere intorno a tavolini di plastica, bambini che si rincorrono e odore di carne arrosto nell’aria. Mi sembra quel disagio umano che vedevo quando ero piccola a Bari, durante le celebrazioni di San Nicola sul Lungomare. Poi ad un tratto in fondo, quasi sulla linea dell’orizzonte, si vedono dei fuochi d’artificio così lontani che neanche fanno rumore. La gente inizia a gridare, brindare e ci rendiamo conto di non avere alcool con cui festeggiare.

Atto II – Inizia il disastro

 

Dopo un’oretta siamo già di ritorno verso Canyon Village, un po’ delusi, un po’ perplessi dalla serata. Arriviamo ai gate del Parco e i ranger a guardia dell’entrata, decidono di fermarci. È notte fonda, mezzanotte probabilmente, e l’unica luce è quella proveniente dal gabbiotto dei ranger a una decina di metri da noi. La ranger, una signora di mezza età con gli occhiali spessi, ci punta la torcia in viso.

– Chi siete?

Un gruppo sicuramente molto eterogeneo. A guidare è William, cuoco nelle cucine di Canyon Village, l’unico americano del gruppetto. Poi ci sono io, una malesiana, due taiwanesi e una ragazza polacca.

– Dipendenti del Parco. Siamo andati a festeggiare a West Yellowstone.

Arriva un altro ranger, con un pastore tedesco enorme che inizia ad abbaiare. Anche lui punta la torcia dentro la macchina e inizia a girare intorno all’auto.

La donna chiede a William i documenti e la patente. Poi sorridendo ci chiede se eravamo a conoscenza dell’obbligo della cintura di sicurezza anche per i sedili posteriori.

– Prego, procedete con l’allacciarla, grazie.

Ho la torcia puntata in faccia e nonostante lo stordimento, capisco che ci sta prendendo in giro. Siamo in evidente soprannumero nei sedili posteriori e non possiamo allacciarci proprio un bel nulla. La ranger perde velocemente il sorriso e si allontana con il collega verso il gabbiotto. Passano minuti interminabili. Il silenzio dentro la macchina è assordante e non so se devo iniziare a preoccuparmi o meno. Siamo nel mezzo della foresta, in piena notte, domani dovrò comunque svegliarmi alle 6 e mezza per andare a lavoro e non riesco a credere che ci stiano trattenendo tutto quel tempo. Siamo dipendenti del Parco, non dei delinquenti.

– William che succede?

– Siamo fottuti.

 

I due ranger ritornano vicino alla macchina, il pastore tedesco riprende ad abbaiare in modo rabbioso.

– Scendete tutti dalla macchina, mani in vista. Lasciate le borse dentro, non toccate nulla.

Sono negli Stati Uniti da meno di un mese ma ho già capito che gli americani non scherzano quando interpretano un ruolo. Sono mortalmente seri.

Scendiamo un po’ tutti increduli dall’auto (tranne William, per lui deve essere tutto normale), e ci fanno inginocchiare sulla striscia gialla del bordo strada. La ranger continua a puntarci la torcia in viso mentre il collega sguinzaglia il cane dentro la macchina. In quei minuti interminabili penso a come abbia fatto a passare da una serata noiosa in un buco di periferia, a interpretare un film di serie B in mezzo al nulla. Ci arresteranno? Passerò la nottata in prigione? Mi ritireranno il Visto e sarò rispedita in Italia? Il pastore tedesco continua ad abbaiare dentro la macchina, il ranger afferra tutti i nostri zaini. Oddio, qualcuno si sarà portato droga? Sono praticamente tutti asiatici ma non si può mai sapere, magari anche quella perfettina della malesiana può farsi delle canne, chi lo sa. In Wyoming ti arrestano se possiedi cannabis (ho già visto la polizia prelevare persone dai nostri dormitori per possesso di droga). Incomincio seriamente a preoccuparmi, a maledire questo 4 luglio, e questo desiderio infantile che ci ha portato ad uscire dal Parco.

Il ranger si inginocchia e apre tutti gli zaini e il cane li annusa uno per uno. Dopo un’interminabile attesa, l’uomo si rialza.

– Ok, tutto a posto. Buon Giorno dell’Indipendenza.

E così, con un’alzata di spalle, la ranger ci toglie finalmente quel faro dagli occhi. Le ginocchia mi fanno male, prendo il mio zaino da terra e rientro dentro l’auto che ora puzza pure di cane.

I ranger dicono qualcosa a William, compilano un foglietto, e gli ridanno i documenti. Quando finalmente ripartiamo, mi sembra che siano passate ore.

– Hai dovuto pagare una multa?

– 400 dollari.

Al nostro silenzio stupito, William ridacchia.

– Ci è andata bene, credetemi.

Io guardo fuori dal finestrino, ma la foresta è buia e non si intravede nulla. Andiamo piano perché potremmo incontrare in mezzo alla strada bisonti o alci. E data la fortuna della nottata, non mi stupirebbe nemmeno.

Luglio 2016

P.S. Il giorno dopo abbiamo smezzato con William l’importo della multa.

 

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