Elaborare il lutto viaggiando

da Set 4, 2019USA, Racconti di viaggio3 commenti

Il 4 settembre 2013

Ho impiegato sei anni per scrivere questo articolo. Questa è l’unica premessa doverosa. 

Sei anni fa, il 4 settembre 2013, mentre vivevo una delle esperienze più intense e incredibili della mia vita, ho ricevuto la chiamata che nessuno vorrebbe ricevere. Lavoravo nel Parco di Yellowstone, negli Stati Uniti. Ero letteralmente nel mezzo di una foresta e una persona che amavo, con cui ero cresciuta, che era parte della mia famiglia, era stata uccisa in Italia. 

Descrivere il dolore e la disperazione del vivere il lutto lontano da casa, è superfluo. La morte è il mistero più grande della vita, a cui si cerca di dare un senso, una spiegazione. Una morte violenta pone degli interrogativi ancora più difficili da affrontare, una presa di coscienza sulla realtà che ci circonda. Sugli altri esseri umani. 

Il 4 settembre sono stata uccisa anche io come figlia, donna, lavoratrice. Così come tutti i componenti della mia famiglia. 

Elaborare il lutto immersa nella natura di Yellowstone

Ero lontana da casa e dovevo affrontare tutto questo da sola. Per giorni, dopo lavoro, ho camminato per la foresta, il silenzio di Yellowstone onnipresente e in quella circostanza, finalmente ben accetto. La bellezza struggente della natura aggiungeva un peso più dolce a quello che opprimeva il petto. Una sera, ignorando il divieto, scavalcai la staccionata che separava il sentiero dal crinale del Canyon e mi stesi per terra, guardando nello strapiombo che avevo sotto di me. Gli occhi e il viso si riempirono di polvere bianca, la riolite impalpabile che compone il canyon e che si sgretola da millenni sotto l’incessante lavorio delle cascate e del vento. Quello era l’odore del mio dolore e lo sento ancora intorno a me se chiudo gli occhi. 

Mi sono immaginata mesi dopo, se al posto di vivere in un parco naturale, fossi stata in una metropolitana caotica. Sarebbero stati diversi i primi giorni? Avrei cercato di distrarmi camminando in mezzo alla folla anonima, entrando nei negozi, vedendo dei film al cinema?

L’inizio del viaggio per gli Stati Uniti

Dopo aver finito di lavorare a Yellowstone, ho iniziato il mio viaggio per gli Stati Uniti. Le valli montuose del Montana, Bozeman, Jackson Hole, Cody, il viaggio on the road da San Francisco fino a Los Angeles, passando per la bellissima Route 1 sulla costa californiana, Tiburon, la Napa Valley, Monterey, Carmel, gli alberi secolari sul Big Sur, Morro Bay, Santa Barbara. L’oceano Pacifico. Il susseguirsi di posti bellissimi da visitare e l’alternarsi impazzito delle emozioni dentro di me, la felicità di vedere posti nuovi e la disperazione, soprattutto la notte, prima di addormentarmi, con la speranza di svegliarmi in una realtà diversa. 

Alla fine sono crollata nell’ultima tappa del mio viaggio, quando sono rimasta da sola a New York per una settimana. La caoticità della metropoli mi disorientava e anche se tutto quel rumore riempiva il vuoto che avvertivo dentro di me, mi sembrava tutto grigio, inutile. Cercavo volontariamente dei posti dove sedermi e circondarmi di silenzio: le panchine di Central Park, gli ultimi banchi della Cattedrale di St. Patrick sulla 5th Avenue, i giardinetti di Brooklyn, dei piccoli bar nascosti dove prendere un caffè e un muffin in silenzio. Vedere i musei mi risultava insopportabile, troppa gente, caos. 

Ho ritrovato finalmente un equilibrio precario quando sono entrata per ripararmi dalla pioggia in un tempio buddhista a China Town. Mi sono seduta in un angolo insieme ad altri fedeli e ho passato quasi due ore in silenzio, il suono ipnotico e cadenzato e assordante dei sutra recitati nella stanza. Ero in pace, la mente sgombra dai pensieri. Prima di uscire ho lasciato un’offerta e ho preso un biglietto della fortuna. L’ho perso quel giorno stesso ma ricordo ancora ciò che c’era scritto: l’oscurità era dietro di me ma dovevo voltarmi e andare verso la luce. Quando tornai in ostello trovai in camera una nuova ospite, una signora di 90 anni che viaggiava per gli Stati Uniti da sola. Parlammo molto quella notte e pensai che la vita è davvero una guerra continua contro noi stessi e gli altri.

Si viaggia per dimenticare, per affrontare le perdite, per celebrare la vita stessa.

Si viaggia per dimenticare, per affrontare le perdite, per celebrare la vita stessa. Quando ho avuto davanti a me l’Oceano Pacifico a Monterey ho pensato di dedicarlo a Paola, che amava il mare e che non avrebbe più potuto vederlo. L’immensità di quella superficie d’acqua, il vento freddo, le onde fragorose, la nebbia che avvolgeva la spiaggia deserta. Le ho dedicato tutto. In quel momento ho deciso che quel viaggio finale per gli Stati Uniti doveva essere una celebrazione per la sua morte. Una ricerca di significato. 

Viaggiare quando si è in lutto non è facile. Le emozioni negative cercano di distruggere ciò che si sta vivendo. C’è la malinconia, la tristezza, il senso di colpa. Chi decide cosa sia giusto fare per affrontare il dolore? 

Non so come concludere questo articolo pertanto ti chiedo di farlo al posto mio: hai mai vissuto una situazione simile? È venuta a mancare una persona cara mentre eri in viaggio o hai deciso di partire proprio per affrontare quel dolore?

 

Continua a viaggiare con me!